Animali Umani: quando l’amore diventa troppo
Ovunque, in TV, sui social media, nelle campagne pubblicitarie, sempre più spesso viene ribadito il sacrosanto concetto che i “Pet”, gli adorati amici a quattro zampe che, in percentuale sempre più alta, abitano le nostre case e dormono sui nostri letti, siano parte integrante della famiglia, dei veri e propri “figli acquisiti”, e che come tali vadano trattati.
Sacrosanto perché, ancora oggi, è fondamentale ribadire e sottolineare il loro diritto ad essere visti e vissuti come esseri senzienti, capaci di provare emozioni al pari di noi, di conoscere la gioia, il dolore, la rabbia, la frustrazione. Ancora oggi, il numero di casi di incuria, maltrattamento, abuso e violenza nei confronti degli animali è a dir poco preoccupante e si rende necessario ogni mezzo per arginarlo.
Un comportamento encomiabile, quindi, quello di chi abbraccia l’idea di accogliere un animale proprio come se fosse un suo pari che nasconde, però, un risvolto della medaglia che è utile porre, di tanto in tanto, sotto l’occhio del riflettore: quanto può essere dannoso per lui, per noi e per la relazione considerare il Pet come fosse un umano?
Chi di noi amorevoli proprietari non ha mai fatto indossare un paio di occhiali da sole al proprio compagno a quattro zampe prima di scattargli una foto? Chi non ha pensato di acquistargli un comodo impermeabile per i giorni di pioggia battente? E chi non ha sognato di regalargli un trattamento benessere degno delle migliori SPA al prossimo appuntamento in toelettatura?
Nulla di grave, per carità, ma solo fino a quando non sfocia nell’eccesso. E l’eccesso è rappresentato dai maglioncini griffati ordinati in boutique, dalle borse all’ultimo grido e dai passeggini per il trasporto di quei poveri esserini di piccola taglia che desidererebbero, invece, camminare a testa alta, annusare, segnare il territorio, interagire coi propri simili e sporcarsi le zampe.
L’eccesso è rappresentato dagli animali che diventano prigionieri della loro stessa casa, “educati” a fare i bisogni su tappetini profumati ai fiori di campo, ad indossare calzini e scarpette per non graffiare il pavimento, a seguire diete ferree e povere di grassi come se la prova costume della prossima estate toccasse anche a loro.
E mentre tutto questo accade, i proprietari vivono l’illusoria convinzione di essere i più attenti, premurosi e fedeli compagni di vita che il loro Pet potesse desiderare, empatici al punto da comprendere esattamente cosa provano, cosa gli piace e cosa no.
Ma l’empatia, requisito nobile e prezioso nelle relazioni interpersonali fra noi umani, assume fattezze differenti quando ad incontrarsi sono due mondi così straordinariamente cooperanti e simbiotici eppure altrettanto distanti.
Affermare che il linguaggio sia una prerogativa esclusivamente umana, equivale a credere che siccome tutti gli elefanti sono grigi, allora ogni cosa grigia è un elefante. Sarebbe troppo semplice, troppo superficiale; meno semplice e superficiale è ammettere che proprio nelle differenze e nella reciproca comprensione e accettazione di linguaggi diversi si nasconde il segreto di una sana relazione interspecifica.
Per poter puntare ad un tale ambizioso obiettivo il trucco è partire dal proprio Sé, dalle proprie aspettative, dai propri desideri celati, dalle proprie fragilità negate, dai propri introietti, dai propri bisogni e dalle mancanze percepite, che spesso vengono riversate e proiettate proprio su chi ci sta accanto, compresi i nostri amici a quattro zampe.
Proviamo a fare qualche esempio: se arrabbiati o spaventati, noi umani andiamo alla ricerca di supporto, rassicurazione, sostegno. Solo così percepiamo che il nostro stato emotivo ha trovato la sua dignità e può concedersi di placarsi, di ridimensionarsi.
Al contrario, accarezzare un cane mentre abbaia o ringhia, equivale a passargli il messaggio che è esattamente così che deve comportarsi e che può continuare a farlo; stesso discorso vale nel caso di situazioni ansia o paura. I tanto temuti fuochi d’artificio o i temporali ne sono la dimostrazione: abbracciare il proprio Pet, sedersi accanto a lui o, peggio, affannarsi alla ricerca di qualcosa che lo faccia stare meglio, viene percepito da lui come un rinforzo delle sue emozioni, una conferma che l’esperienza che sta vivendo debba essere etichettata come pericolosa ed inquietante.
Umanizzare un animale può arrivare a spianargli la strada verso problemi di identità, di incontro e socializzazione con altri animali della sua specie; trattarli con rispetto e consapevolezza della loro “diversità” è la scelta più saggia che possiamo fare per contribuire al loro equilibrio psicofisico e a una convivenza piacevole ed entusiasmante.
Dare il permesso a sé stessi di resettare qualunque convinzione e porsi in una dimensione solo apparentemente passiva di ascolto e osservazione, diventa opportunità di conoscenza, apprendimento e presa di consapevolezza.
Percorsi di educazione cinofila, seminari, esperienze condivise con esperti ed altri proprietari, sono tutte occasioni che permettono di ampliare il proprio orizzonte, ammirando da lontano gli affascinanti mondi di cui gli animali fanno parte, deponendo le armi e la sete di prevaricazione, ma mettendo in connessione esclusivamente i cuori, perché quelli sì, sono i soli, a battere all’unisono.
Stefania Simone
Psicologa e psicoterapeuta in formazione
Responsabile e referente in Interventi Assistiti con gli Animali